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Vangelo di oggi + breve spiegazione teológica

11 novembre: San Teodoro Studita, abate
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Testo del Vangelo (Mt 11,25-30): In quel tempo Gesù disse: «(...) Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

San Teodoro Studita, religioso (759-826)

REDAZIONE evangeli.net (tratte da testi di Benedetto XVI) (Città del Vaticano, Vaticano)

Oggi il Santo che incontriamo, san Teodoro Studita, ci porta in pieno medioevo bizantino, in un periodo dal punto di vista religioso e politico piuttosto turbolento. Fu proprio lo zio Platone, abate del monastero di Sakkudion in Bitini, ad orientarlo verso la vita monastica, che egli abbracciò all’età di 22 anni. Fu ordinato sacerdote dal patriarca Tarasio.

Teodoro si distinse nella storia della Chiesa come uno dei grandi riformatori della vita monastica e anche come difensore delle sacre immagini durante la seconda fase dell’iconoclasmo, accanto al Patriarca di Costantinopoli, san Niceforo. E argomenta: abolire la venerazione dell’icona di Cristo significherebbe cancellare la sua stessa opera redentrice, dal momento che, assumendo la natura umana, l’invisibile Parola eterna è apparsa nella carne visibile umana e in questo modo ha santificato tutto il cosmo visibile. Le icone, santificate dalla benedizione liturgica e dalle preghiere dei fedeli, ci uniscono con la Persona di Cristo, con i suoi santi e, per mezzo di loro, con il Padre celeste.

Si rivelò influente il nuovo spirito impresso dal fondatore alla vita cenobitica. Nei suoi scritti egli insiste sull’urgenza di un ritorno consapevole all’insegnamento dei Padri, soprattutto a san Basilio, primo legislatore della vita monastica. Caratteristico dei monaci, rispetto ai secolari, è l’impegno della povertà, della castità e dell’obbedienza.

—Per Teodoro Studita una virtù importante al pari dell’obbedienza e dell’umiltà è la philergia, cioè l’amore al lavoro, in cui egli vede un criterio per saggiare la qualità della devozione personale.