Un team di 200 sacerdoti commenta il Vangelo del giorno
200 sacerdoti commenti il Vangelo del giorno
Contemplare il Vangelo di oggi
Vangelo di oggi + omelia (di 300 parole)
Il giorno dopo partì con Bàrnaba alla volta di Derbe. Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni».
Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto.
Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.
Per far conoscere agli uomini le tue imprese e la splendida gloria del tuo regno. Il tuo regno è un regno eterno, il tuo dominio si estende per tutte le generazioni.
Canti la mia bocca la lode del Signore e benedica ogni vivente il suo santo nome, in eterno e per sempre.
«Vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi»
Rev. D. Enric CASES i Martín (Barcelona, Spagna)Oggi, Gesù ci parla indirettamente della croce: ci lascerà la pace, ma al prezzo della sua dolorosa uscita da questo mondo. Oggi leggiamo le sue parole dette prima del sacrificio della Croce e che furono scritte posteriormente alla sua Risurrezione. Sulla Croce, con la sua morte vinse la morte e la paura. Non ci da la pace «come la dà il mondo» (cf. Gv 14,27), ma lo fà attraverso il dolore e l’umiliazione: così dimostrò il suo amore misericordioso all’essere umano.
Nella vita degli uomini è inevitabile la sofferenza, a partire dal giorno in cui il peccato è entrato nel mondo. Alcune volte si tratta di dolore fisico; altre di quello morale; in altre occasioni si tratta di un dolore spirituale..., e per tutti arriva la morte. Dio però, nel suo amore infinito, ci ha dato il rimedio per avere pace nel dolore. Lui ha accettato di “andarsene” da questo mondo con una “uscita” sofferente e avvolta di serenità.
Perché lo fece così? Perché in questo modo il dolore umano —unito a quello di Cristo— si trasforma in un sacrificio che salva dal peccato. «Sulla Croce di Cristo (...), la stessa sofferenza umana è rimasta redenta» (Giovanni Paolo II). Gesù Cristo soffre con serenità perché compiace al Padre celeste mediante un atto di costosa obbedienza, e con il quale si offre volontariamente per la nostra salvezza.
Un autore sconosciuto del II secolo mette sulle labbra di Cristo le seguenti parole: «Guarda gli sputi sul mio volto, che ho ricevuto per te, per restituirti il primo alito di vita che ho soffiato sul tuo volto. Guarda gli schiaffi sulle mie guance, che ho sopportato per riformare d’accordo alla mia immagine il tuo aspetto deteriorato. Guarda la mia spalla flagellata per togliere dalla tua il peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani, saldamente immobilizzate con chiodi sull’albero della croce, per te, che un tempo stendesti funestamente una delle tue mani verso l’albero proibito».
Pensieri per il Vangelo di oggi
«Ciò che il nostro spirito, vale a dire, la nostra anima, è per le nostre membra, simil modo è lo Spirito Santo per le membra di Cristo, per il Corpo di Cristo, che è la Chiesa» (Sant’Agostino)
«La pace è un autentico dono della presenza di Gesù nella sua Chiesa. -Signore, custodisci la tua Chiesa nella tribolazione affinché non perda la fede, perché non perda la speranza» (Francesco)
«La pace terrena è immagine e frutto della pace di Cristo (…). Con il sangue della sua croce, egli ha distrutto ‘in sé stesso l'inimicizia’ (Ef 2,16), ha riconciliato gli uomini con Dio e ha fatto della sua Chiesa il sacramento dell'unità del genere umano e della sua unione con Dio» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2305)