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Contemplare il Vangelo di oggi

Vangelo di oggi + omelia (di 300 parole)

12 maggio: Beato Álvaro del Portillo, vescovo
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Testo del Vangelo (Gv 10,11-16): In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario —che non è pastore e al quale le pecore non appartengono— vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore».

«Il buon pastore dà la propria vita per le pecore»

Rev. D. Antoni CAROL i Hostench (Sant Cugat del Vallès, Barcelona, Spagna)

Oggi la Chiesa celebra la memoria del beato Álvaro del Portillo, in coincidenza con l'anniversario della sua Prima Comunione. La data scelta per celebrare liturgicamente questo santo pastore, il 12 maggio, non è casuale: visse innamorato di Gesù-Eucaristia, fin da bambino fino alla sua tappa come venerabile vescovo.

Come il «buon pastore che offre la sua vita per le pecore» (Gv 10,11), in una lettera pastorale (del 1986) descrisse la santa messa con grande bellezza e realismo: «Non abituiamoci mai a celebrare o partecipare al Santo Sacrificio! Un'anima di fede riconosce nel Sacrificio dell'altare il prodigio più straordinario che si compie in questo nostro mondo». La cosa più importante! Álvaro non si è mai abituato a vivere la messa, né da laico né da sacerdote o vescovo.

In un periodo difficile della sua vita, inserito in un campo militare per la formazione di ufficiali, riuscì a ottenere il permesso per partecipare alla messa. Doveva alzarsi molto prima dei suoi compagni, percorrere a piedi una lunga distanza fino alla chiesa di un villaggio e tornare in tempo. Era pieno inverno, con un freddo insopportabile. Il beato Álvaro non solo perseverò nel suo proposito, ma alla fine di quel periodo una quarantina di suoi compagni lo accompagnavano in quell'eroico atto di pietà.

Nella lettera pastorale sopra citata continuava dicendo: «Partecipare alla Messa — per i sacerdoti, celebrarla — significa tanto quanto sciogliersi dai vincoli caduchi di luogo e di tempo, propri della nostra condizione umana, per situarsi sulla cima del Golgota, accanto alla Croce dove Gesù muore per i nostri peccati».

Il Golgota!... Dio concesse al beato una “premiazione” speciale alla fine della sua vita: era il 1994 quando, terminando il suo pellegrinaggio in Terra Santa, ebbe la gioia di celebrare messa nel cosiddetto “Cenacolino” (molto vicino al Cenacolo di Gesù), con grande emozione e pietà. Fu l'ultimo atto di quel pellegrinaggio. Poche ore dopo, proprio al ritorno a Roma, Dio lo chiamò alla sua presenza, pieno di gioia per l'esperienza vissuta. Appresa questa notizia, lo stesso Giovanni Paolo II disse: «Che fortuna!»